Il Consiglio ha approvato con 9 voti a favore e 16 astenuti la mozione presentata dai consiglieri Francesca Tizi del gruppo consiliare Movimento 5 Stelle, Emanuela Mori del gruppo consiliare Italia Viva, Fabrizio Croce, Lucia Maddoli del gruppo consiliare Idee Persone Perugia, Elena Ranfa, Francesco Zuccherini, Elena Borghesi, Sarah Bistocchi, Nicola Paciotti, Marko Hromis del gruppo consiliare Partito Democratico, avente ad oggetto: “Centri antiviolenza a rischio di chiusura – Sblocco dei fondi”.
Per illustrare l’atto la capogruppo del M5S Francesca Tizi è partita dai recenti fatti di cronaca che raccontano di altre donne sottoposte a violenze: una donna picchiata dal fidanzato a Perugia per aver ritardato nella preparazione del pranzo; una giovane violentata in discoteca a Città della Pieve. Questi fatti sono raccontati per ricordare a tutti quanto il tema sia attuale e quanto la struttura sociale costituita dai Centri antiviolenza sia uno strumento essenziale per tutelare donne e minori che molto, direi troppo, spesso si trovano in stato di pericolo.
Entrando nel merito dell’atto Tizi ha posto l’accesso sui dati: tra i tanti si segnala che, dalla sua apertura, avvenuta nel mese di marzo 2014, ad oggi al Centro Antiviolenza Catia Doriana Bellini di Perugia si sono rivolte 2.137 donne. Nel 2021 in particolare il Cav ha ospitato 180 donne e 195 minori, provenienti sia dal territorio umbro sia da fuori regione. Il Centro è dotato di un servizio di Pronta Emergenza che, dalla sua istituzione (2018) all’agosto di quest’anno, quando la operatività è stata sospesa, ha ospitato 88 donne e 91 minori residenti nel comune di Perugia. Dal 2022 sono inoltre attivi 122 nuovi percorsi e sono state ospitate in emergenza 14 donne e 20 minori.
Ciclicamente ogni anno – continua la mozione – in questo periodo emerge il problema della mancata erogazione dei fondi da parte del Comune di Perugia: per l’effetto la continuità del servizio è garantita solamente grazie all’attività volontaria delle operatrici che stanno continuando a lavorare pur senza stipendio da ormai più di otto mesi.
E’ recente la notizia per cui da oltre un mese e mezzo al Cav di Perugia sono stati ridotti di circa il 40% i servizi e gli orari di apertura; l’associazione Libera…mente donna annuncia di non escludere, in assenza di un intervento immediato, la definitiva chiusura del centro struttura di fondamentale importanza per la protezione delle donne e dei loro figli.
In questo ambito è compito delle istituzioni farsi carico della tutela di donne e minori che vivono situazioni di grave pericolo per la loro incolumità psicofisica anche garantendo la continuità dei servizi che gli sono stati dedicati con l’erogazione delle risorse economiche annuali destinate a tali attività.
A fronte di tutto questo la situazione che è emersa in Commissione – ha spiegato Tizi – è, però, a dir poco paradossale. Abbiamo in questo momento una legge regionale molto rigorosa in ordine ai requisiti che le strutture di accoglienza devono presentare soprattutto in relazione ai locali dedicati. Abbiamo il comune di Perugia che ha fornito all’Associazione Liberamente donna dei proprio immobili che, però, non hanno i requisiti per l’ottenere l’Autorizzazione fondamentale per liberare i fondi che a livello nazionale sono stati attribuiti agli enti locali e dedicati ai centri antiviolenza.
Alla luce di ciò nell’atto si impegna l’Amministrazione ad intervenire al più presto per trovare una soluzione immediata che permetta di far arrivare i fondi necessari ad evitare la chiusura del CAV Doriana Bellini, considerata la natura essenziale dei servizi erogati da tale centro a tutela di donne e minori in pericolo, la cui continuità è indispensabile per l’intera comunità e un fattore di civiltà.
In aggiunta all’illustrazione di Tizi, la consigliera di IPP Lucia Maddoli ha letto integralmente il contenuto di una lettera, inviata dalle operatrici del cav al Comune di Perugia, in cui si lancia un appello all’Ente per scongiurare la chiusura del centro.
Elena Ranfa (PD) ha spiegato che la sensazione emersa dopo le audizioni in Commissione è stata di un servizio diverso dagli altri, perché nato dalle donne per le donne senza essere calato dall’alto. Un servizio, inoltre, che tende a fare rete e che punta tantissimo sulla formazione e sulla professionalità; aspetti su cui, dunque, occorre investire risorse.
Massimo Pici (Perugia Civica), nel rivolgere il suo apprezzamento pieno ai cav, ha chiarito come l’odg sia condivisibile, ma rivolto all’ente sbagliato.
Secondo Pici in questo ambito il Comune sta da tempo facendo tutto quanto è in suo potere, avendo attivato il Pis (pronto intervento sociale) e ben sette uffici di cittadinanza. Le competenze circa i requisiti dei locali per ospitare i Cav e le caratteristiche che le associazioni devono possedere per esercitare il servizio sono fissate dalla Regione. Per tale ragione Pici ha preannunciato un voto di astensione.
Con Pizi ha concordato Gino Puletti (Progetto Perugia), secondo cui ci sono delle prassi e delle regole su cui il Comune non ha competenze e non può intervenire. Essendo il sistema in un momento di passaggio dalla fase sperimentale ad una fase di entrata a regime, il bando regionale richiede che il gestore del Cav ed i locali possiedano specifici requisiti; aspetti che esulano dal ruolo del Comune.
Anche per Paolo Befani (FdI) i cav svolgono un ruolo fondamentale; tuttavia le problematiche emerse non sono ascrivibili ad atti del Comune ma della Regione.
Fabrizio Croce (IPP) ha riferito che il Cav si trova in un immobile di proprietà del Comune ormai dal 2014, erogando all’Ente un affitto. Così come avviene per gli altri locali comunali concessi in locazione, è quindi compito del proprietario metterli a disposizione nel rispetto di tutte le condizioni imposte dalla legge.
Per questo secondo Croce è assurdo che il Comune cerchi di scrollarsi di dosso le responsabilità almeno per la parte che riguarda la congruità dei locali rispetto a quanto richiesto dal bando regionale.
In chiusura di dibattito l’assessore Edi Cicchi ha ribadito, come fatto in commissione, che è necessario mantenere in vita il servizio in parola, esprimendo per l’effetto piena solidarietà alle donne del Cav, siano esse vittime di violenza o operatrici. Fin dall’insediamento della prima amministrazione Romizi, ossia dal 2014, infatti, c’è stata una ferma volontà del Comune affinché un progetto nato come sperimentale e, dunque, con un termine di scadenza preciso potesse continuare a esistere. Fin da allora è stato messo a disposizione un immobile; nel frattempo, il servizio è stato rinnovato nel tempo attraverso accordi. Il Comune in seguito, nelle more dell’approvazione del regolamento regionale in materia, ha messo a disposizione anche altri appartamenti per case rifugio e strutture di semi-autonomia. L’assessore ha riferito, altresì, di aver sollecitato la Regione Umbria circa l’emanazione di una normativa regionale e circa la costituzione della rete di contrasto alla violenza di genere accanto ad altre istituzioni, affinché il progetto (che nel 2016 era arrivato al suo termine) si trasformasse in servizio vero e proprio attraverso un regolamento, la definizione di standard strutturali e di funzionamento e una carta del servizio: modalità analoghe a quelle vigenti per tutti i servizi a sostegno di persone con fragilità.
Cicchi ha quindi ricordato alcune tappe fondamentali: nel 2016 è stata adottata la legge regionale, nel 2018 il protocollo unico per il sistema regionale anti-violenza e nel 2021 è entrato in vigore il regolamento della Regione Umbria per definire standard strutturali e di personale. Tale regolamento non ha fissato una tariffa per il servizio e una retta per l’ospitalità sia residenziale sia semi-residenziale: un limite che il Comune ha segnalato alla Regione. Secondo Cicchi, va certamente sanata la questione economica di chi ha lavorato finora senza retribuzione. Il Comune – ha anche detto l’assessore – ha servizi talmente strutturati da far sì che nessuna donna sia mai stata abbandonata a sé stessa. Attraverso gli uffici di cittadinanza, il pronto intervento sociale e la rete finora costituita con numerosi soggetti, nel momento in cui una donna denuncia una situazione si è in grado di attivare un servizio. L’assessore ha poi ricordato di aver sollecitato più volte l’associazione Libera…Mente Donna a intraprendere un percorso, alla luce dell’intervenuta normativa regionale in tema di autorizzazioni, che avrebbe permesso di sbloccare almeno i fondi comunali in attesa dello stanziamento di quelli regionali, che vengono erogati dopo che il Cav ha rendicontato le spese sostenute, e, dunque, molto in ritardo rispetto all’anno solare. Per l’anno 2023 si prevede di affidare il servizio attraverso una gara di appalto che uscirà a breve. Si pensa dunque a un affidamento, così come avviene per tutti i servizi sociali esternalizzati.