Straordinario afflusso di pubblico, ieri 13 febbraio, nella Sala dei Notari, per ascoltare dalla viva voce della scrittrice Dacia Maraini la cronaca vivida e dolorosa della sua prigionia in un campo giapponese. “Vita mia. Giappone 1943. Memorie di una bambina italiana in un campo di prigionia” è il suo ultimo libro pubblicato da Rizzoli a ottobre 2023.
Prima di raggiungere la Sala dei Notari, la scrittrice è stata accolta a Palazzo dei Priori da Costantino D’Orazio, nuovo direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, per una visita alle principali opere custodite nelle bellissime sale della Gnu.
L’assessore alla cultura Leonardo Varasano ha portato il saluto dell’amministrazione comunale ringraziando la scrittrice per “il dono, difficile e doloroso, di una testimonianza civile che aiuta a mantenere sempre alta e viva la memoria dei campi di sterminio e di prigionia”.
Durante la presentazione, introdotta e moderata da Annamaria Romano, presidente Associazione Culturale Clizia, la scrittrice ha dialogato con Simone Casini, docente di Letteratura Italiana dell’Università degli Studi di Perugia. Sandra Fuccelli, ha letto magistralmente alcuni brani di Vita mia.
Dacia – racconta – ha sette anni, vive in Giappone con i genitori e le sorelline Toni e Yuki e si sente giapponese a tutti gli effetti. Suo padre, Fosco, insegna all’università di Kyoto, sua madre, Topazia Alliata, è felicemente integrata nel tessuto della città. Il sogno è la pace, si pensa che la guerra finirà presto. Ma Fosco e Topazia non giurano fedeltà al governo nazifascista della Repubblica di Salò. La famiglia è internata in un campo di concentramento destinato ai traditori della patria.
Per la famiglia Maraini iniziano gli anni più difficili: con pochi grammi di riso al giorno, tra fame, malattie, attesa, gelo e vessazioni, dovranno imparare a sopravvivere rinchiusi in un luogo ostile insieme ad altri prigionieri.
Il racconto di Dacia si snoda lucido, preciso, a tratti sconvolgente per durezza dei fatti narrati, ma sempre composto e ironico, anche nei suoi particolari più raccapriccianti, come l’essersi nutriti di formiche e topi pur di sopravvivere.
E poi la storia della prima giovinezza, al ritorno dal Giappone, in Sicilia: una terra bellissima, ancora indenne dagli sfregi edilizi dei decenni successivi, ma arretrata e bigotta.
E’ generosa, Dacia, nel far balenare di fronte al pubblico, attento e partecipe, l’esperienza vissuta di uno spaccato del ‘900, un secolo che ha visto cambiare la società, trasformare l’Italia, anche attraverso la rivoluzione del ’68 e il femminismo. C’è l’amicizia con Pierpaolo Pasolini, il racconto delle vessazioni e delle censure morali in un paese che fatica ad emanciparsi da pregiudizi e discriminazioni.
E’ stato un incontro con una delle voci più autorevoli e conosciute della nostra letteratura contemporanea, ma anche un modo per non dimenticare gli orrori del Novecento, e per celebrare il coraggio, la fedeltà alle idee, il rifiuto del razzismo di una famiglia che ha lasciato il segno nella Storia e di chi come loro ha lottato per la libertà di tutti.