La II commissione, presieduta da Alessio Fioroni, ha approvato con 4 voti favorevoli (Zuccherini, Borghesi, Croce, Tizi), 3 contrari (Mencaglia, Befani, Ricci) e 4 astensioni (Fioroni, Casaioli, Casaccia, Morbello) l’ordine del giorno presentato dal gruppo consiliare Pd riguardante il disegno di legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario.
In sintesi, l’odg esprime una posizione critica sul disegno di legge. “E’ necessario – si legge tra l’altro nell’atto – sviluppare un confronto che coinvolga istituzioni, partiti, cittadini, università, realtà associative, comunità ed esperti, al fine di far pesare la volontà popolare che mira a garantire il principio di eguaglianza tra i cittadini e tra i territori e ad assicurare l’unità nazionale”. In particolare si evidenzia che, con riferimento al comparto sanitario “la riforma rischia di avere conseguenze deleterie specie per le regioni più in difficoltà e meno popolate come l’Umbria”.
“Anche l’Europa – ha detto la capogruppo Sarah Bistocchi illustrando l’odg in commissione – attraverso il Pnrr, cioè risorse di cui tutti beneficiano, incluso chi il Pnrr lo ha attaccato, punta a rafforzare l’unità sociale e territoriale. Invece, il ddl incoraggia la frammentazione delle competenze e i divari territoriali, economici e sociali. Con la sua approvazione, per più aspetti in contrasto con la Costituzione, non saranno più garantiti diritti universali, basilari ed essenziali in modo uniforme per tutti i cittadini in tutte le regioni. Il ddl – ha proseguito Bistocchi – è un fulgido esempio di disuguaglianza territoriale. Anziché cucire, divide. Anziché unire, taglia l’Italia in due. L’Umbria non ne sarà certo favorita. Pertanto si chiede alla massima assise cittadina del capoluogo umbro di affrontare la questione”.
E’ stato ospite della commissione il professore Mauro Volpi, ordinario di diritto costituzionale e comparato.
Di seguito si riporta il testo integrale dell’odg.
In data 2 marzo 2023 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge avente ad oggetto: “Disposizioni per l’attuazione della autonomia differenziata delle regioni a Statuto ordinario”, che è stato presentato alle Camere con l’obiettivo di definire la cornice procedurale per l’attuazione di quanto previsto dall’art. 116 comma 3 della Costituzione, il quale prevede che possano essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario forme e condizioni particolari di autonomia concernenti le 20 materie di cui all’art. 117, comma 3, e le 3 materie indicate allo stesso art. 117, comma 2, relative alle lettere “ l”, “n” e “s”.
Il disegno di legge presentato dal Governo ha suscitato consistenti perplessità e notevoli critiche, da parte di studiosi e costituzionalisti, da parte di numerose Regioni, da parte delle associazioni di Comuni e Province, nonché da associazioni di categoria e forze sociali, che individuano il rischio di una frammentazione del tessuto istituzionale della Repubblica ed una non chiarita distinzione tra competenze legislative e funzioni amministrative, con le conseguenti indeterminatezza e confusione su quali verranno effettivamente attribuite e su come verranno salvaguardate anche sotto il profilo finanziario le funzioni pubbliche oggi assicurate dagli enti locali, a cui, va ricordato, l’articolo 118 della Costituzione attribuisce, innanzitutto, l’esercizio delle funzioni amministrative.
Nel disegno di legge non viene assicurata la centralità del Parlamento, né il ruolo degli enti locali, soprattutto per quanto riguarda la individuazione, la definizione e il finanziamento dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni).
Il testo proposto tende ad aumentare di fatto i divari tra Nord e Sud del nostro Paese, in termini di reddito, di istruzione, della qualità della assistenza sanitaria, delle politiche sociali, di capacità di offerta, e di diritto di accesso ai servizi più in generale.
Il 9 maggio 2023 si è insediato il CLEP – Comitato per l’individuazione dei “livelli essenziali delle prestazioni” concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale – composto da 61 esperti, che supporterà il lavoro della Cabina di regia. Successivamente, sono iniziate le audizioni in 1° Commissione Affari costituzionali del Senato della Repubblica sul disegno di legge A.S. n. 615 e connessi (A.S. n. 62 e A.S. n. 273). Il 6 giugno scorso è stato adottato come testo base il disegno di legge n. 615 di iniziativa governativa e veniva fissato per il 22 giugno 2023 il termine per la presentazione degli emendamenti.
In sede di Conferenza unificata del 2 marzo 2023, Campania, Emilia-Romagna, Puglia e Toscana hanno espresso parere contrario al DDL per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario.
Risulta acquisito, in sede di audizioni in 1° Commissione Affari costituzionali del Senato del 23 maggio 2023, un documento con cui anche i Presidenti delle Assemblee legislative Emilia-Romagna, Puglia, Toscana e Campania, oltre ad esprimere considerazioni di ordine procedurale, rilevano:
- a) che il percorso di autonomia differenziata impone “di evitare accelerazioni, a detrimento degli opportuni approfondimenti circa l’individuazione delle materie in ordine alle quali la Costituzione prevede la determinazione di livelli essenziali delle prestazioni, specie in un contesto caratterizzato da fortissime incertezze nel rapporto fra legislazione statale e regionale”;
- b) che “l’impressa accelerazione verso un ‘frettoloso regionalismo differenziato’ rischia di travolgere e vanificare il modello di cooperazione istituzionale fondato sul confronto in ordine alla definizione delle materie e delle risorse necessarie alla sua concreta attuazione, anche al fine di rispettare quanto prescritto dall’art. 119 della Costituzione, che postula una regolazione sistematica per il finanziamento delle Regioni a statuto ordinario sulla base delle diverse capacità fiscali dei territori. Conseguentemente, è imprescindibile individuare – in concreto – le risorse adeguate attraverso il finanziamento del fondo di perequazione, elemento di garanzia per la tenuta dell’unità giuridico-economica del Paese, ribadendo la necessità di rispettare, anche per il futuro, il principio di correlazione fra funzioni e risorse”;
- c) che il rischio rappresentato dai disegni di legge è quello di creare maggiori diseguaglianze territoriali che si traducono, inevitabilmente, in diseguaglianze social ed economiche.
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha più volte e con interventi pubblici esortato tutti i rappresentanti delle istituzioni, a tutti i livelli, ad essere impegnati in azioni che non lascino indietro i più deboli, sia che si tratti di singole persone sia che si tratti di intere Regioni.
Anche “l’Europa boccia l’Autonomia”: infatti, come si legge sulla stampa, “La riforma mette a rischio i conti e amplia i divari”, e secondo la Commissione europea “rischia di mettere a repentaglio la capacità del governo di indirizzare la spesa pubblica” (Il Messaggero, 25/05/2023). Bankitalia ha lanciato l’allarme sui costi dell’autonomia chiedendo di verificarne le coperture.
Per lo stesso Ufficio parlamentare di Bilancio (UPB), il disegno di legge non risolve le incertezze sulla possibile dinamica delle risorse regionali negli anni successivi all’approvazione dell’intesa;
I diritti sociali rappresentano un capitolo fondante del patto istituzioni-cittadini, mentre questo testo delinea un assetto istituzionale che mina la solidarietà nazionale, rendendo strutturali le diseguaglianze.
Il modello di regionalismo configurato dal disegno di legge governativo non è sostenibile anche alla luce dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione della Repubblica: solidarietà (articolo 2), uguaglianza (articolo 3), sussidiarietà (articolo 118), perequazione (articolo 119);
E’ necessario sviluppare un confronto che coinvolga istituzioni, partiti, cittadini, università, realtà associative, comunità ed esperti, al fine di far pesare la volontà popolare che mira a garantire il principio di eguaglianza tra i cittadini e tra i territori e ad assicurare l’unità nazionale, che non può essere un semplice sentimento, ma un principio che deve tenere insieme le comunità del Nord e del Sud. L’Europa, attraverso il Pnrr, al contrario di questa proposta, punta a rafforzare la coesione sociale e territoriale.
Con particolare riferimento al comparto sanitario, la riforma rischia di avere conseguenze deleterie specie per le regioni più in difficoltà e meno popolate come l’Umbria. Tutto ruota intorno a due principi: i costi standard e il superamento dei LEA (livelli essenziali di assistenza), con introduzione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni), che saranno definiti attraverso DPCM da una apposita Commissione Tecnica e, in quanto atti amministrativi, potranno essere impugnati solo davanti al TAR, ma non davanti alla Corte Costituzionale. Il Parlamento non avrà alcun potere di intervento sulle disposizioni relative al trasferimento di risorse umane e finanziarie alle Regioni e i LEP rimarranno orfani di risorse, fondamentali per allineare la qualità dei servizi delle Regioni del Centro Sud e quelle del Nord. Quindi ci saranno regioni in cui verranno garantiti livelli base e altre che, grazie a maggiori disponibilità economiche, potranno andare ben oltre i LEP. A parità di patologia infatti avremo regioni che si potranno permettere di dare cure ed assistenza adeguate, potendosi permettere di pagare la differenza fra il costo standard della prestazione minima e il costo totale di una cura appropriata, e altre che non ne saranno in grado. Tutto ciò comporterà una sperequazione e una palese discriminazione dei cittadini su base territoriale, perché regioni come l’Umbria, in alcuni casi, dovranno decidere se interrompere le cure in corso o mettere a carico dei malati i costi eccedenti, senza contare che non è da prendere in considerazione l’ipotesi di autorizzare le singole aziende sanitarie a coprire gli stessi costi eccedenti mettendoli in bilancio, visto il “buco” di bilancio ad oggi esistente in Umbria, quantificato in oltre 250 milioni.
Il disegno di legge non promuove l’interesse nazionale poiché incoraggia la frammentazione delle competenze, i divari territoriali e quelli economico-sociali, e non prevede nessuno stanziamento di bilancio per la copertura degli stessi.
Con la sua approvazione, tra l’altro in evidente contrasto con la Costituzione, non potranno più essere garantiti diritti basilari, universali ed essenziali, su tutti il diritto alla salute, in modo uniforme a tutti i cittadini di tutte le Regioni d’Italia.
Desta molta preoccupazione l’approvazione del disegno di legge sull’autonomia differenziata proposto dal Ministro Calderoli, su cui esprimiamo contrarietà. Si auspica come necessaria l’adozione preventiva in Parlamento di una legge quadro costituzionale che disciplini percorso e procedure condivisi con regioni ed enti locali.
Si sottolinea la necessità di assicurare, prima di procedere con l’attribuzione di ulteriori forme di autonomie ex articolo 116, l’attuazione degli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, finalizzati a garantire coesione, solidarietà nazionale e decentramento amministrativo agli enti locali nel rispetto del principio di sussidiarietà.
Tutto ciò premesso, l’odg prevede i seguenti impegni per sindaco e giunta: rappresentare in tutte le sedi necessarie il punto di vista espresso con tale atto e ad assumere iniziative che facciano pesare l’orientamento della nostra comunità verso principi di autonomia che assegni a tutte le realtà del nostro Paese uguali opportunità di benessere civile e sociale; attivarsi affinché venga chiesto il ritiro del disegno di legge AS 615 recante “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”; inviare la deliberazione di approvazione del presente atto di indirizzo al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei ministri, ai Presidenti di Camera e Senato, ai Gruppi parlamentari di Camera e Senato, al Presidente della Regione e ai Gruppi consiliari regionali; a richiedere la creazione di un Tavolo istituzionale per trovare un accordo concordato e condiviso con tutte le Regioni, le Province e i Comuni.
L’AUDIZIONE E IL DIBATTITO – Il costituzionalista Mauro Volpi ha posto l’accento su alcuni aspetti “critici” del ddl concludendo con un invito alla riflessione.
A suo avviso, è anzitutto sbagliato sostenere che l’autonomia differenziata, come prefigurata nel ddl Calderoli, rappresenti l’attuazione dell’art. 116, comma 3, della Costituzione. Tale norma, infatti, va interpretata nel quadro dei principi costituzionali che regolano i rapporti tra Stato e Regioni. Volpi ha poi definito “estremista” l’interpretazione alla base del ddl dal momento che la richiesta di nuove competenze da parte di singole Regioni si configura come indipendente dalle esigenze specifiche del territorio regionale, non è cioè previsto obbligo di motivazione. Inoltre è possibile chiedere di acquisire la competenza su tutte le materie previste dall’art. 116 (ben 23), pari a 500 funzioni amministrative. Potrebbero quindi diventare di competenza esclusiva di alcune regioni, a titolo di esempio, materie come salute, istruzione, ambiente, lavoro, produzione e trasporto dell’energia, commercio con l’estero. Secondo Volpi, immaginando che alcune regioni, le più “ricche”, chiedano di avere competenza in tutte le materie ex art. 116, l’effetto sarebbe la frantumazione dello Stato italiano in una serie di staterelli autonomi, in violazione del principio di unità e indivisibilità della Repubblica di cui all’art. 5 della Costituzione. Per il costituzionalista ci sarebbe altresì un rafforzamento di alcune Regioni a scapito di tutte le altre e un aumento delle disuguaglianze tra i cittadini in violazione dei principi costituzionali di solidarietà (art. 2) e di uguaglianza (art. 3). Altra considerazione critica ha riguardato il particolare procedimento proposto dal ddl, una sorta di trattativa privata tra la singola Regione e il governo che sfocia nella presentazione di un disegno di legge al Parlamento.
Secondo Volpi c’è una emarginazione della maggior parte dei cittadini, che non stanno fruendo di adeguata informazione sul tema, una emarginazione dei Comuni, che in base all’art. 118 della Costituzione sono pur sempre i titolari, in linea generale, delle funzioni amministrative, come rilevato dalla stessa Anci; una emarginazione della maggioranza delle Regioni, e infine, anche dello stesso Parlamento, che può esprimere pareri e atti di indirizzo rispetto alla singola intesa (peraltro non obbligatori né vincolanti), ma che, chiamato ad adottare la legge che recepisce l’intesa, può solo approvarla a maggioranza assoluta o respingerla, ma non emendarla.
Riguardo i LEP, che in base all’art. 117 della Costituzione devono garantire i diritti civili e sociali dei cittadini su tutto il territorio nazionale, per Volpi c’è poi una violazione evidente della Costituzione: l’art. 117 attribuisce la materia alla competenza legislativa dello Stato (i LEP, cioè, devono essere stabiliti con una legge o atto equiparato), mentre la legge di bilancio e il ddl Calderoli prevede che siano decisi con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, dunque atti amministrativi generali su cui non si esercita il controllo del Presidente della Repubblica e che non possono essere sottoposti neppure al controllo della Corte costituzionale.
Il professore ha peraltro ricordato che è stato costituito un comitato tecnico di esperti che si è orientato verso una ricognizione dei LEP già esistenti in alcune materie. Per la sanità sono determinati in riferimento ai Lea ma, di fatto, non hanno garantito una uniforme garanzia del diritto alla salute nelle regioni italiane.
Il ddl stabilisce poi che per la maggior parte delle materie non occorrano Dpcm, come prevedeva la legge di bilancio, ma solo decreti dei ministri competenti.
Il problema centrale individuato da Volpi, ad ogni modo, è la mancanza delle risorse necessarie per garantire che i LEP siano attuati in tutto il territorio nazionale. L’art. 5 del ddl Calderoli prevede commissioni paritetiche (stesso numero di componenti designati dal governo e dalla Regione) per determinare le risorse finanziarie da trasferire mediante la compartecipazione al gettito dei tributi erariali maturati. In ciò il ddl riflette l’ideologia del residuo fiscale (la differenza tra ciò che i cittadini versano allo Stato nell’ambito del territorio regionale e le risorse spese dallo Stato per garantire i servizi in quel territorio). Dovrebbe invece essere lo Stato a decidere come impiegare le risorse incamerate attraverso i tributi tenendo conto anche di fini redistributivi per garantire l’uguaglianza dei cittadini. Il residuo fiscale – ha proseguito Volpi – è positivo in 5 Regioni del Nord, mentre in altre dieci, tra cui l’Umbria, è negativo. L’Umbria, quindi, attualmente riceve più di quanto i cittadini pagano in termini di tributi erariali.
L’attribuzione di numerose materie alle Regioni più ricche che le chiedono – ha ancora riferito Volpi – comporterebbe un enorme trasferimento di risorse finanziarie alle stesse (si calcola che si tratterebbe di circa 190 miliardi con riferimento alle materie più importanti) e in tal modo non ci sarebbero fondi per le altre Regioni, neppure per le spese storiche.
Il professore ha quindi invitato a riflettere su due aspetti. A suo avviso, è preliminare a qualsiasi decisione in materia l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, che prevede un fondo perequativo per le Regioni con minore capacità fiscale per abitante e anche risorse aggiuntive a favore degli enti territoriali in cui si riscontrano problemi di sviluppo sociale al fine di garantire servizi comunque adeguati. Inoltre, per attuare correttamente la previsione costituzionale dell’autonomia differenziata, bisogna avere a mente la corretta interpretazione dell’art. 116, comma 3. A tal riguardo, Volpi ha ricordato che all’attenzione della commissione Affari costituzionali del Senato, insieme al ddl Calderoli, c’è anche un ddl di modifica costituzionale di iniziativa popolare (Volpi stesso è stato tra i promotori, ndr) che ha ricevuto più di 105mila firme e che prevede modifiche all’art. 116, comma 3, e all’art. 117. Anche il Pd ha presentato un disegno di legge costituzionale.
Queste le modifiche previste dal ddl di iniziativa popolare: introdurre un riferimento a specifiche esigenze motivate del territorio per richiedere nuove competenze; il trasferimento di competenze non si baserà principalmente su una trattativa Stato-Regione e il Parlamento potrà emendare il testo di legge presentato dal governo; si prevede la possibilità per i cittadini di chiedere il referendum sulla legge che recepisce l’intesa (alla luce del ddl Calderoli, invece, tale legge, in quanto approvata a maggioranza assoluta, non si può sottoporre a referendum abrogativo e l’intesa diventerebbe irreversibile per dieci anni, salva l’ipotesi, improbabile, che la Regione sia favorevole a modificare l’intesa).
Volpi ha anche ricordato il ddl costituzionale Cirielli-Meloni presentato nel 2014, una proposta che prevedeva addirittura l’abrogazione dell’art. 116 (quindi non solo dell’autonomia differenziata, ma anche delle Regioni ad autonomia speciale) in nome della difesa dell’unità nazionale.
La questione su cui interrogarsi seriamente, in conclusione, per il costituzionalista è il mantenimento dell’unità politica e sociale del Paese.
Lorenzo Mattioni (Lega), pur condividendo alcune perplessità emerse rispetto al ddl, ha affermato che esso persegue pur sempre l’obiettivo di migliorare un sistema ad oggi non in grado di garantire un equilibrio sociale nel Paese e di ridurre i divari. L’aspetto da rivedere è quello dei Lep, ma se si riesce a garantire un monitoraggio costante e un livello soddisfacente degli stessi, si può pensare che il Paese avrà un’opportunità di efficientamento con benefici per tutte le regioni. Infine, se sui Lep sarebbe opportuno ridare la parola al Parlamento, Mattioni ha però rilevato che le stesse forze politiche oggi contrarie all’autonomia differenziata non hanno ragionato allo stesso modo nel periodo dell’emergenza Covid.
Fabrizio Croce (Idee Persone Perugia) ha ricordato che il suo gruppo e il M5s avevano presentato, quasi un anno fa, un odg poi respinto dal Consiglio comunale che intendeva impegnare l’amministrazione a sollecitare la Regione e i parlamentari umbri a fare pressioni sul governo affinché, non appena completata la raccolta firme, fosse portato rapidamente alla discussione in Senato il disegno di legge di iniziativa popolare. L’odg respinto sollecitava iniziative di sensibilizzazione e, se necessario, di mobilitazione dei Comuni a sostegno delle ragioni dell’unità della Repubblica e del principio di uguaglianza di fronte a spinte autonomistiche non basate su fondamenti di diritto rintracciabili nella Costituzione italiana. Temi, secondo Croce, che stanno a cuore agli italiani, visto che pochi giorni fa in 200mila hanno manifestato in piazza proprio a favore della Costituzione.
Roberta Ricci (Lega), tenuto conto del richiamo fatto da Volpi al ddl presentato nel 2014, ha evidenziato che il ddl Calderoli è stato approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri: non c’è dunque diversità di vedute nella compagine governativa. Se poi, come indicato dal professore, esso “avvantaggia” solo 5 regioni (quelle con residuo fiscale negativo), la consigliera ha domandato come mai la Conferenza Stato-Regioni abbia dato il suo ok.
Volpi, a questo punto, ha proposto due considerazioni. La prima riguarda la valenza giuridica del ddl Calderoli: sarà una legge ordinaria ad attuare l’art. 116, comma 3, quindi potrà essere derogata dalla singola legge che approva l’intesa a maggioranza assoluta. Così, anche se si cercasse di circoscrivere il trasferimento delle materie, la legge che approva l’intesa potrebbe introdurre deroghe. Quanto alla conferenza Stato-Regioni, essa si è espressa a maggioranza. I presidenti delle Regioni meridionali hanno tuttavia posto una serie di condizioni che, a suo avviso, il ddl non soddisfa. È in definitiva necessario dare una interpretazione autentica a livello costituzionale del 116, comma 3. Altrimenti, se il ddl dovesse passare così com’è, il discorso riemergerà quando si discuterà delle singole intese.
Maria Cristina Morbello (Tesei Presidente per l’Umbria), parlando a titolo personale, ha esposto i motivi della sua astensione. L’autonomia differenziata – ha detto – può rappresentare per l’Umbria un’opportunità solo a condizione che la Regione e i Comuni si dotino di attività che portino entrate consistenti e costanti. Se così non sarà, l’Umbria avrà grossi problemi finanziari a partire dalla sanità.
Morbello si è in particolare riferita alla creazione di una società mista per la gestione della centrale idroelettrica della Cascata delle Marmore. A suo avviso, è fondamentale garantire che le risorse regionali siano in linea con gli interessi e i bisogni della comunità e la creazione di una società per la gestione di una centrale idroelettrica dovrebbe essere la priorità in termini di benefici economici e ambientali. La gestione pubblica della centrale potrebbe comportare profitti significativi per la comunità, ma è fondamentale assicurare che tali profitti siano distribuiti in modo equo tra gli enti e i cittadini e che siano destinati a investimenti locali. In sintesi, l’astensione della consigliera è il risultato dell’assenza di dibattito su questo tema, ossia sulle risorse che verrebbero a mancare in caso di attuazione dell’autonomia differenziata senza avere messo in campo nuove iniziative che assicurino entrate proprie. Resta fondamentale avere una visione completa degli impatti, delle implicazioni finanziarie e delle opportunità di coinvolgimento della comunità prima di prendere una decisione su una questione così importante.
Mattioni ha invece annunciato il voto contrario della Lega sull’odg, con ciò ribadendo di condividere l’impianto generale e l’obiettivo politico del ddl Calderoli, che sarà uno stimolo a perseguire una maggiore efficienza in ogni regione.
Daniela Casaccia (Forza Italia), esprimendo un ringraziamento per il contributo fornito dal professore Volpi e per l’opportunità di riflessione offerta dall’odg, ha motivato a titolo personale la sua astensione. Secondo la consigliera, non è semplice avere una conoscenza adeguata e comprendere meccanismi complessi, come l’argomento in discussione richiederebbe, pertanto è necessario affidarsi agli addetti ai lavori e alle chiavi di lettura avulse dal contesto politico che questi possono fornire. I consiglieri comunali, infatti, svolgono sì un ruolo politico, ma anche di servizio al cittadino teso a favorire il miglioramento delle condizioni di vita della comunità, pertanto sono tenuti di volta in volta a fare le riflessioni e le valutazioni del caso.