E’ una trattazione approfondita, fitta di riferimenti e citazioni, quella che il professor Alberto Grohmann ha tenuto, giovedì pomeriggio 9 settembre alla Sala dei Notari. Trattazione dotta, a tratti commossa, come riconosce lo stesso studioso ottantenne, ormai cieco, capace di parlare impeccabilmente a braccio per oltre un’ora, nella sala che rappresenta uno degli esempi più fulgidi dello splendore perugino di epoca comunale.
D’obbligo la citazione dell’XI canto del Paradiso. A memoria Grohmann recita i famosi versi con cui Dante, nel descrivere i luoghi di San Francesco, cita Perugia.
Ma perché Dante si sofferma su Perugia?
Perché tra il Duecento e la prima metà del Trecento Perugia è una delle città più famose e popolose d’Italia, parliamo di 30.000 mila abitanti, un vasto territorio costellato di insediamenti umani: ville castelli e borghi.
È il paesaggio tipico del centro Italia, una città, un territorio dove si producono materie prime e beni, Perugia è un grande centro internazionale di interscambio, almeno fino alla prima metà del Trecento prima della grande peste di Milano.
La città ha un enorme sviluppo economico, demografico, sociale e culturale anche grazie alla circolazione di soggetti che provengono da posti assai lontani, creando un crogiolo di diversità e novità.
Il Comune di Perugia nel 1234 fa incidere una pietra della giustizia che abolisce i vincoli feudali e impone a tutti i soggetti il pagamento di un’imposta.
Quello di Perugia è uno dei primi Comuni d’Italia a redigere un catasto dei beni mobili e immobili sui quali pagare le tasse in proporzione della ricchezza di ognuno.
Addirittura lo statuto Perugino del 1279 delibera che chiunque, proveniente dal contado o da distretti limitrofi, abiti a Perugia da almeno dieci anni, ha diritto di essere riconosciuto cittadino di Perugia, una sorta di ius soli ante litteram.
Perugia in quell’epoca è paragonabile solo a Siena e Firenze, come economia, importanza, sviluppo sociale e culturale.
I maggiori artisti e architetti dell’epoca, come Nicola Pisano, Arnolfo di Cambio, sono chiamati a Perugia per costruire i monumenti e i simboli di questo periodo sfolgorante. Le formelle marmoree della Fontana Maggiore rappresentano una specie di Enciclopedia della cultura medievale; lo spazio ellittico tra la base Colle del Sole e Colle Landone si apre e si chiude con due splendide fontane, di cui la seconda andata purtroppo distrutta.
Così come persi sono molti dei più bei dipinti del Duecento, distrutti o ricoperti negli anni, al cambiare delle mode.
Questo periodo, che conosciamo ancora poco, è stato studiato in economia, a conferma delle teorie economiche di stampo keynesiano, come testimonianza del fatto che l’espansione economica si realizza solo nelle società che riescono a far crescere i ceti medi riducendo le distanze tra grandi ricchezze e grandi povertà.
Se è vero – conclude Grohmann – che il Rinascimento è stata un’età magnifica in campo artistico e architettonico, la diffusa disparità economica tra ceti è una delle cause della crisi economica della società rinascimentale.
Nella Perugia fra Duecento e Trecento le fontane, i palazzi pubblici, l’università, e più tardi l’ospedale, rappresentano gli elementi più alti di una comunità. Una comunità che avverte il bisogno che tutto ciò sia pubblico e a spese della collettività.