Il Consiglio comunale, nella seduta del 21 marzo, ha respinto con 8 voti favorevoli, 12 contrari e un astenuto l’odg presentato da Fabrizio Croce (Idee Persone Perugia) e Francesca Tizi (Movimento 5 Stelle) sul tema dell’autonomia differenziata tra Regioni. L’atto era stato bocciato anche nella I commissione Affari istituzionali.
L’atto – illustrato in aula dai due consiglieri – ricorda che alcune regioni italiane a partire dal 2019 (Lombardia Veneto ed Emilia Romagna) hanno richiesto il regime di “devoluzione” su diverse materie, di interesse anche nazionale, tra quelle indicate nell’art. 117 della Costituzione.
L’art. 116, comma 3, della stessa Costituzione ammette il trasferimento a singole regioni che lo richiedano di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie indicate nell’art. 117”. La richiesta, frutto di una interpretazione molto estensiva del citato articolo 116, a parere di molti addetti ai lavori, rischia di stravolgere in modo inammissibile lo stesso art. 117 e di violare i principi posti negli artt. 5 e 119 della Carta.
Nel mese di novembre 2022 è stato presentato dal ministro Calderoli un disegno di legge sull’attuazione dell’autonomia differenziata che presenta alcune caratteristiche che potrebbero suffragare il timore di uno stravolgimento dello spirito costituzionale.
I proponenti richiamano l’opinione diffusa secondo cui se questa scelta di devoluzione si realizzasse, a scapito del rafforzamento delle autonomie locali, sarebbe colpita a morte l’unità giuridica ed economica della Repubblica (art. 2, 3 e 5 della Costituzione) con enormi complicazioni nel governo delle singole materie, in danno dell’uguaglianza dei cittadini, delle imprese e delle pubbliche amministrazioni. Si nota, inoltre, che nessuna delle tre regioni richiedenti ha mai spiegato, dimostrandone la fondatezza, le ragioni per le quali sarebbe utile e giusto trasferire quelle materie alla competenza regionale e che molte Regioni e moltissimi sindaci, tra cui quelli di Bari, Napoli e Bologna, hanno già manifestato contrarietà alle richieste ex art.116 della Costituzione da parte delle tre regioni.
I consiglieri Croce e Tizi ricordano in particolare che il “Coordinamento per la Democrazia Costituzionale” ha lanciato su scala nazionale un “Disegno di legge di iniziativa popolare” per la modifica degli artt. 116 e 117 della Costituzione, a sostegno del quale ha avviato una raccolta firme che si chiuderà nell’aprile 2023.
L’ordine del giorno, pertanto, prevedeva i seguenti impegni per sindaco e giunta:
-sollecitare la Regione Umbria e i parlamentari umbri a fare pressioni sul governo affinché, non appena completata la raccolta firme, sia portato rapidamente alla discussione in Senato il disegno di legge di iniziativa popolare;
-a farsi promotore presso l’Anci di una iniziativa di sensibilizzazione e, se necessario, di mobilitazione dei Comuni a sostegno delle ragioni dell’unità della Repubblica e del principio di uguaglianza, di fronte a spinte autonomistiche non basate su fondamenti di diritto rintracciabili nella Costituzione italiana.
(per il testo integrale dell’atto si veda il resoconto del 20 gennaio:
Di seguito, l’intervento fatto dalla consigliera Maria Cristina Morbello (TPPU):
“Il mutamento dell’ordine costituzionale è stato innescato dalla fine della prima Repubblica, non è quindi un fenomeno recente. Sul piano politico hanno prevalso dinamiche autoreferenziali volte a impedire intrusioni attraverso leggi elettorali basate sulla cooptazione, sull’appartenenza, sulla fedeltà al capo. Sul piano economico ha dominato – almeno fino alla pandemia – la corrente ragionieristica del pareggio di bilancio: una linea di pensiero perfettamente integrata nella formula gramsciana del “cretinismo economico”. Da tempo la politica italiana ha rinunciato ad attuare visioni industriali di crescita e di sviluppo. La politica ha abdicato al potere di decidere in materia economica in favore della finanza. Le conseguenze di questa scellerata sudditanza al pensiero unico di matrice finanziaria sono state disastrose per la classe media italiana.
La sottomissione ai dictat finanziari mondialisti trova la sua fonte normativa proprio nel primo comma dell’articolo oggi in discussione: l’art. 117 della Costituzione italiana come modificato con la Legge costituzionale 3 del 2001.
La modifica ha riguardato la ripartizione delle competenze legislative tra lo Stato e le regioni italiane, ma ha anche stabilito che Stato e Regioni sono tenuti al rispetto tanto del diritto dell’Unione europea che di quello internazionale.
La riforma dell’art. 117 della Costituzione dovrebbe partire da queste considerazioni e dalla necessità di riavvicinare i cittadini alla politica.
La bassa percentuale di votanti alle ultime regionali è indice di una severa disaffezione che rischia di prestare il fianco a pericolose minoranze organizzate.
Sono d’accordo nel sostenere l’unità nazionale, il principio di uguaglianza, il principio di solidarietà, anche attraverso fondi perequativi per garantire i livelli essenziali delle prestazioni, ma allo stesso tempo ritengo che l’Italia abbia bisogno di una seria e condivisa riforma dello Stato e delle sue Istituzioni, a partire dalle Regioni.
Penso che per riavvicinare i cittadini alle Istituzioni e alla politica non basti una nuova legge elettorale.
Penso invece che siano necessarie nuove prospettive, nuove regole, nuovi diritti e nuove decisioni mirate alle esigenze locali.
Decisioni capaci di adattarsi meglio alle diverse realtà territoriali e alle esigenze dei cittadini.
Decisioni condivise e non imposte dalle rigide strutture sovranazionali di matrice finanziaria.
In definitiva, questa discussione, se fosse affrontata senza sterili preconcetti ideologici, potrebbe rappresentare un’opportunità per una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita politica e amministrativa delle loro comunità.
Concludo, con un’annotazione di carattere economico.
Sono convinta che la condivisione di nuove regole e nuovi diritti possa innescare un meccanismo tale da far superare la povertà economica e infrastrutturale che caratterizza alcune Regioni italiane.
Tanto per fare un esempio, da ottobre dello scorso anno, in base alla nuova legge regionale sulle risorse naturali, i cittadini della Basilicata possono avere il gas naturale gratis.
In Italia oltre il 40% dell’energia prodotta è di origine idroelettrica.
In Umbria l’energia prodotta dalle centrali idroelettriche è quasi il doppio di quella consumata dalle famiglie.
Dai dati di Terna emerge che le centrali umbre producono circa 1700 gigawatt, mentre il consumo di energia elettrica per uso domestico nella nostra regione, sempre in base ai dati di Terna, è inferiore a 950 gigawatt.
In Umbria esistono 9 grandi centrali idroelettriche:
– 7 impianti affidati in concessione a Erg Hydro che producono circa il 95% dell’energia prodotta in Umbria;
– 1 impianto affidato a Edison;
– 1 impianto affidato ad ACEA.
Nel 2021 ENEL ha sborsato oltre un miliardo e duecentocinquanta milioni di euro per le centrali idroelettriche di ERG Hydro, con la concessione più importante, quella delle Marmore, in scadenza nel 2029.
Da un report di Mediobanca emerge che l’EBITDA medio di ERG Hydro nei tre anni antecedenti la cessione è stato di 106 milioni di euro.
Mediobanca scrive di avere agito in qualità di financial advisor di ERG Spa, la società venditrice, fornendo supporto in tutte le fasi dell’operazione e strutturando un articolato processo competitivo che ha coinvolto 130 potenziali investitori.
Questi dati pubblicati da Mediobanca stanno a dimostrare l’immenso valore degli impianti idroelettrici umbri. Grazie alla norma voluta da Giorgetti nel 2018, alla scadenza delle concessioni le centrali torneranno di proprietà delle regioni che dovranno dotarsi di relative leggi regionali.
Come è noto, anche l’Umbria da pochi giorni ha la sua legge regionale sull’idroelettrico.
Dall’analisi dei profitti prodotti dalle centrali idroelettriche umbre emerge che una politica energetica regionale per lo sfruttamento delle nostre risorse naturali a favore della nostra comunità è possibile e redditizia.
Regioni piccole come la nostra già lo fanno, mi riferisco alla Valle d’Aosta e, come ho già detto, alla Basilicata.
Basta prendere esempio da loro e riservare alla Regione Umbria almeno il 51% della società che in futuro gestirà le concessioni in scadenza.
L’Umbria può produrre l’energia elettrica consumata dalle famiglie umbre e vendere quella in eccesso impiegando i profitti miliardari per investimenti e servizi pubblici, a partire dalla sanità.
L’art. 8 della nuova legge regionale sull’idroelettrico voluta dalla Giunta prevede che le concessioni possono essere assegnate a società a capitale misto pubblico-privato.
È auspicabile – alla luce dei profitti certificati da Mediobanca – che anche il Comune di Perugia partecipi alla costituzione di detta società. Infine un rilievo di carattere finanziario. Come è noto il limite massimo dei mutui che può contrarre un Ente locale per gli investimenti è rappresentato dall’incidenza del costo degli interessi sulle entrate correnti, quindi, con nuove entrate correnti di centinaia di milioni generati dalle nostre centrali idroelettriche, l’Umbria potrebbe fare investimenti miliardari. Sarebbe come avere un PNRR all’anno. Ribadisco che se faremo le scelte giuste, almeno dal punto di vista economico, non avremo nulla da temere, anzi, saremo una delle Regioni più virtuose d’Italia”.
Il consigliere Michele Nannarone (FdI) è partito da un confronto con il dato normativo. In base a un’analisi del testo, a suo avviso, le perplessità legate a una spaccatura del Paese e al pericolo di disuguaglianze non sembrano fondate. In particolare, le disposizioni relative alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sono chiare nello stabilire che essi devono essere comunque garantiti su tutto il territorio nazionale.