Dopo la cerimonia presso il parco Vittime delle Foibe dello scorso 10 febbraio, la città di Perugia ha dedicato un’ulteriore giornata di approfondimento alle vicende del confine orientale.
In sala dei Notari si è svolto, infatti, un incontro sulla storia delle foibe e dell’esodo giuliano-istriano-dalmata, dedicato ai ragazzi e ragazze delle scuole perugine, alla presenza dell’assessore alla cultura Leonardo Varasano, della presidente del Comitato 10 Febbraio – Perugia Raffaella Rinaldi, del presidente dell’Associazione Fiumani Italiani nel Mondo Franco Papetti e del presidente della società di studi fiumani Giovanni Stelli.
Ospite d’onore è stato il prof. Gianni Oliva, docente, storico, politico, giornalista ed autore di diversi libri sul Novecento tra cui quelli dedicati alle vicende del confine orientale.
Nel rivolgere un benvenuto agli studenti, l’assessore Varasano ha spiegato che quest’anno il Comune di Perugia, in accordo con la Prefettura, ha cercato di proporre una particolare sottolineatura del Giorno del Ricordo, al fine di celebrare al meglio il ventennale della promulgazione della legge che ha istituito questa ricorrenza. Proprio per questo sono stati molteplici gli eventi dedicati alla data del 10 febbraio: dalla tradizionale deposizione della corona d’alloro nel parco di Madonna Alta dedicato alle Vittime delle foibe, allo spettacolo teatrale proposto dal teatro di Sacco, finendo oggi con l’incontro della sala dei Notari cui seguirà nel pomeriggio in sala della Vaccara la presentazione del libro di Rosanna Giuricin “di questo mar che è il mondo”.
Puntando il dito sull’oblio e sul negazionismo che hanno caratterizzato per circa 70 anni la storia d’Italia sul tema, l’assessore ha manifestato apprezzamento per gli studi compiuti dal prof. Oliva: “si tratta, infatti, di studi seri che ci sentiamo di sorreggere e proporre perché rappresentano un modo rigoroso di trattare la storia e la ricostruzione storica, come per troppo tempo non si è fatto”.
Rammarico per l’utilizzo politico che si è fatto per anni di parte della storia è stato manifestato da Franco Papetti, secondo cui il giorno del Ricordo non deve essere l’occasione per divisioni o negazioni, ma un momento per onorare le migliaia di italiani uccisi nelle foibe o costretti all’esodo, lasciando la terra in cui erano nati e cresciuti.
Occorre onorare, infine, anche coloro che scelsero, tra mille problemi, di rimanere in quelle terre cercando di mantenere alto il nome dell’italianità nonostante le vessazioni del regime jugoslavo.
L’auspicio che la storia si possa proiettare al futuro è stato espresso da Giovanni Stelli secondo cui occorre operare insieme agli italiani rimasti nelle terre d’Istria, Dalmazia e Fiume ma anche con i governi delle Repubbliche croata e slovena al fine di recuperare una storia dimenticata e nascosta dal regime totalitario.
Dando il là alla relazione del prof. Oliva, Raffaelle Rinaldi ha posto allo storico cinque domande per approfondire la questione orientale: cosa sono state le foibe, cosa ha significato l’esodo, di che realtà storica parliamo, perché sono avvenuti i fatti delle foibe e dell’esodo, perché per 70 anni su queste vicende è regnato il silenzio.
Prendendo la parola il prof. Oliva ha rimarcato, nelle premesse, che la storia non è una materia esatta, perché cambia nel corso del tempo a seconda del modo in cui certi fatti vengono raccontati, essendo gli stessi ormai trascorsi. Ecco perché, secondo lo scrittore, la vera storia deve essere quella frutto del confronto sano tra diversi punti di vista.
Oliva, ripercorrendo le tappe salienti della vicenda orientale, ha spiegato agli studenti che nell’area della penisola istriana hanno sempre convissuto pacificamente italiani, sloveni e croati, almeno fin quando l’area fu governata dalla Repubblica di Venezia.
I problemi sono iniziati dapprima con l’avvento del regno austroungarico e poi dell’Italia, guidata in quel tempo da un governo di stampo nazionalistico.
Seguono i noti fatti legati alla seconda guerra mondiale e l’arrivo di un altro regime totalitario, anch’esso nazionalistico, guidato dal “maresciallo” Tito.
Questo governo – ha rimarcato Oliva – si propose di eliminare tutti coloro che si opponevano all’annessione delle terre di confine alla Jugoslavia; ciò porto all’uccisione nelle foibe, si stima, di 7-8mila italiani che sparirono nel nulla.
Con la fine della II guerra mondiale, gli accordi post-bellici portarono all’assegnazione alla Jugoslavia della maggior parte dei territori “contesi” con l’esclusione della sola Trieste. Da quel momento prese il via la seconda parte, anch’essa drammatica, della storia al confine orientale con l’esodo di circa 300mila italiani dalle terre dell’Istria, Dalmazia e Fiume. Fu un esodo coattivo, perché i protagonisti furono costretti ad andarsene lasciando le terre in cui erano nati e vissuti, abbandonando il lavoro, la casa e gli affetti. I profughi – racconta Oliva – furono “sparpagliati” in circa 109 caserme o capannoni sparsi per l’Italia dove vissero per anni in piena emergenza.
Perché si parla di queste tragedie solo ora a distanza di così tanti anni, ha domando lo storico: perché l’Italia di fatto perse la II guerra mondiale ed il prezzo di quella sconfitta fu pagato soprattutto da chi visse lungo il confine orientale.
Ecco perché oggi è doveroso rendere omaggio e rispettare questa storia, il cui ricordo doveva essere automatico e non disposto da una legge ad hoc, introdotta proprio per colmare un vuoto.