Il Consiglio ha approvato con 8 voti a favore (opposizione) e 12 astenuti (maggioranza) l’ordine del giorno presentato dalle consigliere Francesca Tizi e Maria Cristina Morbello del gruppo Movimento 5 Stelle, sul “Sostegno del Comune di Perugia all’istituzione del salario minimo”.
Illustrando l’atto la capogruppo Francesca Tizi ha ricordato come lo scorso 11 novembre la commissione occupazione del Parlamento europeo abbia votato la direttiva sul salario minimo, ove si stabilisce che lo stesso non possa scendere al di sotto del 50% della paga media nazionale: ciò vale per tutti i lavoratori, pubblici e privati, compresi quelli appartenenti alle categorie maggiormente a rischio (tirocinanti, stagionali, ecc.).
Si riferisce nell’atto che il salario minimo esiste già in 22 paesi dell’U.E., ma non in Italia dove sono ancora all’esame del Parlamento i relativi disegni di legge.
La situazione italiana, spiega Tizi, è complicata visto che le paghe dei lavoratori risultano sotto la media europea (12,49 euro l’ora contro una media di 13,14), con il 20% dei dipendenti che si attesta su stipendi inferiori ai 9 euro l’ora.
In un contesto italiano, ove emergono ben 985 contratti vigenti, con inevitabili disomogeneità, anche Perugia non è esente dal fenomeno del cosiddetto “working poor”, ossia persone che hanno un lavoro, ma vivono al di sotto della soglia della povertà, visto che in Umbria l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta con il capofamiglia occupato tocca il 10,5%.
Ritenendo che il salario minimo protegga dall’emarginazione e dallo sfruttamento, riducendo le disuguaglianze, con l’odg il M5S chiede di impegnare l’Amministrazione:
a sostenere e promuovere in tutte le opportune sedi gli atti, le misure e le azioni necessarie volte all’istituzione del salario minimo orario per tutti i lavoratori italiani pubblici e privati nel percorso già tracciato dalla commissione occupazione e affari sociali del Parlamento europeo.
La capogruppo Pd Sarah Bistocchi ha sottolineato che ha senso parlare oggi di questo tema perché nel nostro Paese esiste un problema salariale per i lavoratori. Secondo dati ufficiali, infatti, sono in vigore in Italia oltre 900 contratti collettivi, molti dei quali scaduti, che permettono salari minimi inidonei a garantire la dignità dei lavoratori ed il sostentamento delle loro famiglie; tali contratti, inoltre, possono essere facilmente aggirati pur se legalmente.
Ciò determina conseguenze molto negative per i lavoratori sotto diversi punti di vista.
Insomma tanti dipendenti (circa il 10%) sono esclusi dalla copertura dei salari minimi; ecco perché la contrattazione collettiva non è più in grado, da sola, di svolgere un ruolo d’autorità, ed ecco perché serve il salario minimo, strumento di protezione e tutela che dovrà accompagnarsi, evidentemente, ad altre azioni che vadano nella medesima direzione.
Sul tema proposto è intervenuto l’assessore al personale Luca Merli che ha esordito partendo dalla lettura del testo dell’art. 36 della Costituzione e dai principi in esso contenuti. Il primo comma, in particolare, sancisce nella sua prima parte che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”. Tale principio, secondo Merli, è ancora oggi puntualmente rispettato e garantito.
Cosa diversa, invece, per la parte finale del primo comma secondo cui: la retribuzione deve essere “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Da venti anni a questa parte il nostro Paese, spiega Merli, non è in grado di rispettare tale principio con gravi conseguenze in capo ai cittadini.
Nel concordare sulle criticità segnalate da Tizi, l’assessore ha inteso segnalare, tuttavia, ulteriori spunti di riflessione: “il problema dell’Italia – ha detto – non sono soltanto i salari bassi, ma anche un costo del lavoro troppo alto (+135% in relazione alla retribuzione del lavoratore) per le aziende rispetto alla media europea. Da questi temi, dunque, bisogna ripartire nella riscrittura delle norme e dei sistemi fiscali che evidenziano oggi una pressione eccessiva”.
Occorre migliorare, inoltre, sui meccanismi della contrattazione collettiva, combattendo nel contempo la contrattazione cosiddetta “parallela e pirata” e tutelando le categorie a 360 gradi.
Merli ha espresso, in ogni caso, alcune perplessità sull’istituto del salario minimo ritenendo che vi siano fasce di lavoro (ad esempio quello accessorio) che non vi possono rientrare. Peraltro, ha ribadito, ciò che deve cambiare è la tutela della retribuzione in sede di contrattazione collettiva nonché il costo del lavoro per le aziende.